Circa 200 artisti sono coinvolti nella nuova edizione di Arscode il gioco dell’arte.
Davvero uno sforzo notevole, in termini di relazioni e di produzione. Ma, come sempre, le grandi avventure sono il nostro pane quotidiano…
Così, con l’obiettivo di voler dare voce agli artisti stessi, abbiamo pensato di realizzare piccole interviste, per far conoscere più in profondità la loro poetica e le opere con cui giocheremo… Con frequenza almeno settimanale, cercheremo di essere puntuali per presentarvi un artista in un dialogo diretto. Ci piace pensare che, giocando con le loro opere, possiate appassionarvi sempre di più ed individuare i vostri artisti preferiti!
Proseguiamo le nostre interviste con Marco Bettio!
Nel corso degli ultimi anni, hai sviluppato collaborazioni con altri artisti? Raccontaci l’esperienza…
Da diverso tempo vivo una continua condivisione di pensiero e di pratica pittorica con la mia compagna Sarah Ledda: il nostro lavoro è reciprocamente indipendente ma anche intrecciato, per l’affinità che ci fece incontrare già più di dieci anni fa.
Tre anni fa, supportati da un collezionista valdostano che desiderava da tempo riunire un gruppo di artisti intorno al tema della montagna, abbiamo dato vita a una associazione culturale con la quale abbiamo già realizzato alcuni progetti espositivi che hanno visto la partecipazione di artisti valdostani (Chicco Margaroli, Sophie Herin, Jaccond, Sacchetti e Tutino (artisti che avevo già coinvolto in una mostra al Castello Gamba di Châtillon, museo d’arte moderna e contemporanea della Valle d’Aosta, durante il covid, affidandone la curatela a Davide Dall’Ombra e Casa Testori – Assalto al Castello, 2020). Oltre a questi artisti valdostani abbiamo coinvolto anche Vanni Cuoghi e Angelo Bellobono, oltre a me e a Sarah Ledda.
Anche per gli ultimi progetti espositivi mi sono rivolto a un musicista e compositore, Christian Thoma e a una danzatrice performer, Silvia Bonavigo.
Ritengo che uscire dalla dimensione dello studio-antro dove curare in solitudine le proprie ossessioni, per aprire il proprio pensiero a un dialogo, sia qualcosa che spesso, per la mia personale esperienza, permette di esprimere in toto il potenziale di un’idea, una poetica o un progetto. Per la prossima mostra, proprio per questo, sto gettando le basi per una collaborazione con il filosofo Leonardo Caffo, un importante punto di riferimento, con Emanuele Coccia, Stefano Mancuso, Telmo Pievani e altri, di tutto il mio lavoro più recente.
Quali sono gli artisti che ti hanno maggiormente ispirato?
Su tutti sicuramente Velázquez e Bacon, poi aggiungerei sicuramente ciò che da Velázquez porta a me, ovvero Manet e Borremans. Poi potrei fare mille nomi, certamente Gerhard Richter, ma anche Robert Gober, Cecily Brown, Yves Klein e Carl Andre, Bill Viola…
Nell’attuale società, qual è e, soprattutto, quale dovrebbe essere il ruolo di un artista?
Qual è il tema contemporaneo più scottante?
Il mio lavoro è strettamente legato alla relazione tra i viventi, siano essi umani, animali o vegetali, non ha alcuna importanza. Mi rendo conto che la radicalità di un assunto del genere pone non poche polemiche o chiusure, ma ritengo che oggi sia estremamente importante innescare una riflessione critica attorno al senso e ai frutti della cultura giudaico-cristiana così antropocentrica, dominatrice sugli animali e sul resto del “creato”, una messa in discussione dello status quo che sia però scevra dalle insopportabili mode su ambiente, alimentazione, genere e quant’altro.
I miei dipinti, nel guardarmi, hanno finito col farmi mettere in discussione il mio presunto diritto di vita sulla pelle di un asino o di un platano.
Questo, sicuramente, è per me il tema più scottante oggi.
Tra l’altro, ci troviamo in uno di quei momenti storici particolari che vedono le istanze dell’arte visiva condividere il sentiero con la filosofia, la politica e, prima o poi, anche l’economia. Tutto ciò contiene anche la questione climatica, ma vuole essere una radicale messa in discussione dei frutti dell’antropocene, così come, e forse soprattutto, dell’idea di un neo umanesimo che continua a mettere l’uomo su un piedistallo che si erige sul diritto e non sul dovere.
Siamo curiosi di conoscere il concept della tua opera, con cui tutti potranno giocare… Ti va di raccontarci qualcosa?
Credo, anche in questo caso, che nelle risposte precedenti sia espressa la mia poetica, tutto il mio lavoro, e quello scelto per Arscode non fa eccezione. A parte per il fatto di appartenere a un piccolo nucleo di lavori, in fieri – nel quale i soggetti dipinti, anziché essere estrapolati dal contesto per diventare quasi degli archetipi che galleggiano in uno sfondo monocromo che è la fusione dei colori e delle tinte usate per il soggetto – questi soggetti sono dipinti nel loro contesto, sempre legato all’acqua come fosse un liquido amniotico.
Qual è la prima cosa che ti viene in mente se ti dico “giochi da tavolo”?
Il finlandese ha una parola, Kaukokaipuu, (fernweh, in tedesco) per esprimere la nostalgia per qualcosa, solitamente un luogo, che non si è vissuto, visitato o esperito.
Il gioco da tavolo non è mai stato una terra adatta al mio passo ma ho sempre provato una grande nostalgia per le interminabili partite a Risiko degli anni ottanta, che io non ho mai giocato ma che occupavano interi pomeriggi dei miei compagni di allora. Il mio Kaukokaipuu…
Le Carte con le opere di MARCO BETTIO sono inserite in queste scatole